Fritz Baumgartner. Il Party come Belle Époque ritrovata
Se lo sguardo si compiace a scrutare, come in una quadreria sovrappopolata,
l’intero
corpus delle opere di Fritz Baumgartner (1929-2006), balena un senso
di spaesamento: si
trovano al proprio cospetto dipinti di ogni guisa, con gradi di matericità
agli antipodi e scale
cromatiche a strapiombo su correnti e manifesti artistici di natura
contraria. Si attraversano
in un solo lampo gli albori del sentimento dell’arte nutrito durante
l’adolescenza austriaca;
le prime prove all’Accademia delle Belle Arti a Monaco, città
che lo ha naturalizzato
bavarese a tutti gli effetti; le lezioni impartitegli da Kokoschka e
dai più tenaci epigoni
dell’espressionismo tedesco; gli anni ’50, d’afflato
parigino grazie a una borsa di studio
triennale vinta nella capitale francese; il periodo di ripensamento
dell’estetica tradizionale
e di lento allontanamento, accogliendo lapsus fauvisti e futuristi,
dall’espressionismo, fino a
giungere alla spoliazione del segno grafico minimale e concettuale,
dai colori e dalle forme
netti e decisi – nella misura che la contemporaneità desidera.
Potrebbero annullarsi, come cariche opposte di ugual forza, le potenzialità
magnetiche di un artista che ha pagato di buon grado il dazio della
curiosità sperimentale,
aderendo a diverse stagioni pittoriche – vissute tutte con destino
fortunato. Ecco perché ci
si soffermerà, alla stregua di un capitolo dentro un manuale
mastodontico, su ciò che oggi
rende l’intensa produzione artistica di Baumgartner non solo materia
di studio scientifico e
consultazione accademica, ma anche rinnovata e originale scoperta. Si
tratta di dipinti
inediti, realizzati su tela o su supporti di occorrenza (ad esempio
su carta racimolata da
pagine di giornale ancora da stampare) durante il soggiorno a Parigi
dal 1956 al 1958, che
rievocano e rielaborano con linguaggio velatamente espressionista le
atmosfere – già
oltremodo fané – della Belle Époque.
Dalla pittura pregressa, l’artista mitteleuropeo ricava una natura
reattiva, pronta a
mettersi in discussione e a mutare nel tempo, così come mutano
le circostanze che portano
l’uomo a definirsi nella Storia. La Belle Époque fu infatti
un lungo periodo di pace, come
non se ne erano mai visti in Europa dai tempi dell’Impero romano:
tra il 1870 e il 1914, dopo
millequattrocento anni e oltre, il continente entrò in una fase
nuova, nella quale le potenze
non avrebbero fatto ricorso alle armi per almeno quarant’anni.
I conflitti furono tutti
confinati al di fuori dello spazio europeo, nelle colonie; e in questo
clima di tensione,
allontanata dalla collettività benpensante, autocelebratasi “civile”,
la società e la cultura si
evolvono con fede cieca nel progresso scientifico – il progresso,
secondo Auguste Comte,
segna “la preponderanza crescente delle tendenze più nobili
della nostra natura”. La realtà
di Baumgartner era stata spietatamente differente: l’umanità,
dissestata dopo le guerre
mondiali e travagliata da una crisi che colpiva ogni ambito della vita,
si stava appena
affacciando a una riorganizzazione spirituale delle società moderne.
Esperire la quotidianità
parigina sovrapponendo alle proprie lenti il filtro di quel periodo
remoto e ormai opaco è
da una parte evidente autodifesa – l’espressionismo tedesco
è difatti sempre stato apertoa
dialogare o a interiorizzare altri modi di dipingere, smussando il repertorio
per attenuare
le manifestazioni di atrocità, fisiche e psicologiche –
e dall’altra canzonatoria proiezione di
un milieu mondano, festaiolo, ammaliante e decadente, residuo fisso
nel contesto
cosmopolita della città.
Eppure, nella Belle Époque recuperata di questi dipinti ritrovati,
la presa di distanza
dalla effimera frivolezza non è incrudelita dai modi dell’espressionismo
(che anzi è messo al
servizio di circostanze che non ha mai rintracciato): nell’ironia
vi è una forza ottimistica, un
senso di socialità, di abbraccio di diverse brulicanti personalità.
Perfino negli oggetti d’uso
comune si racconta di una presenza smagliante, di una collettività
che riempie le cose. È un
apparire mai vuoto, quello dei soggetti di Baumgartner; l’interiorità
si sublima nell’estetica
di oggetti comuni e di occasioni a tutti familiari. E se per i paesaggi
sembra apparentemente
più semplice riscontrare nella matericità il profondo
sondaggio degli stati d’animo,
attualizzando la Sehnsucht tipica dell’indole tedesca, per le
scene di aggregazione vivace e
leggera come l’emblematica Party le figure dalle pose quasi caricaturali
– una patologia
ridotta al riso – sono riempite da colori simbolici che dimostrano
una consapevolezza
psicologica figlia più del Kokoschka drammaturgo che del pittore
– l’azzurro e il bianco sono
la negazione dell’assillo dell’esistenza; il giallo e il
rosso simboleggiano l’inconscio e la
vitalità.
Quando lo spazio scenico è astratto, il riferimento temporale
diviene rarefatto e
penetra nella tela una forza estatico-visionaria senza tempo; anche
nelle opere come gli
Amanti il corpo a corpo fisico e verbale delle figure, con dialoghi
dissoluti e oscuri e con
spasmi convulsi in fasci di vesti, muscoli e nervi di matrice espressionista
si risolve in una
parabola universale dell’amore. Nessun nervoso senso di oppressione,
nessun avversario
inconciliabile: il conflitto “fatale” tra i sessi è
districato e i corpi sono rimescolati in un unico
lembo cucito di svariate tonalità di rosa – il colore della
vita che nasce, dell’alcova dell’eros
e della tenerezza.
Le poliedriche esperienze di Baumgartner sono presentate in questa mostra
cercando di raddensare la loro carica affabile in un grumo di atmosfera:
pensandole in un
salotto, nella trasognata intimità della lettura o di una sigaretta,
come se la festa fosse già
avvenuta in passato – forse non si è voluto partecipare,
lasciando i musicisti e i bevitori nella
stanza accanto; o forse il party è soltanto una fantasticheria
da rotocalco. Un compendio un
po’ polveroso, che nella sua intenzione autentica di studio storico-artistico
monografico
rifugge dalla mondanità vanesia per ricercare una socialità
autentica, empatica, praticabile.
Federica Maria Giallombardo