Austellung
Galleria d'Arte RoccaTre - Torino
20. April bis 20. Mai 2023

DA INTERIORI SEGNALI E RIVELAZIONI
Quando innalzerai di nuovo le tue mura
- il focolare, il letto, il tavolo e la sedia -
non appendere le lacrime per quelli che se ne sono andati,
che non abiteranno più con te
Nelly Sachs
La cadenza delle immagini della poetessa Nelly Sachs unisce le interiori emozioni a una rivisitata
quotidianità, il linguaggio all’intensa espressività della pittura di Fritz Baumgartner degli anni Cinquanta e
Sessanta.
Un periodo e una vitalità compositiva che caratterizza la mostra allestita nelle sale della Galleria Roccatre,
che in passato ha già ospitato i lavori di questo artista nato a Aurolzmunster, in Austria, nel 1929, cittadino
tedesco, e scomparso a Monaco di Baviera nel 2006. A Torino, e non solo, gli è stato riconosciuto il valore
di una creatività che, nella serie dei 43 disegni de "I nuovi disastri della guerra" (collezione Provincia di
Torino), esprime con determinata fermezza la tragica dimensione dell’umanità di fronte alle sofferenze della
guerra. Sofferenze che, in estrema sintesi, emergono attraverso un’interpretazione legata all’andante
penetrante di un segno vibrante e rabdomantico.
Una ricerca, quindi, che si sviluppa secondo una scrittura sempre dinamica, pulsante e inquieta, che in ogni
occasione afferma l’essenza di una figurazione delineata all’interno di un "corpus" di documenti pittorici
indagati e studiati da Luigi Carluccio, Lorenzo Mondo e Marisa Vescovo.
Nel suo atelier hanno preso forma e contenuti dipinti, disegni e progetti di vetrate, che appartengono a un
percorso denso di riferimenti sociali e spirituali, di aspetti d’Arte Sacra e momenti della realtà ripresi e
descritti con un segno-colore dal coinvolgente e materico "Espressionismo". Un’esperienza in cui
prevalgono - suggerisce Lorenzo Mondo - "le presenze femminili, come simbolo di una irriducibile forza
germinativa, capace di ricreare ogni volta il mondo". Mentre nella monografia di Florens Deuchler, edita da
Priuli&Verlucca nel 1998, si coglie il senso profondo della cultura visiva di Baumgartner, l’indiscutibile abilità
e virtuosismo grafico scandito dalla originale stesura di un repertorio contraddistinto dalla figura umana.
L’attuale selezione di lavori documenta il dialogo dell’artista con la forma e il colore, in una dimensione dove
- ha detto Fritz Baumgartner - "Il colore gioca un ruolo di primo piano, esprime sempre qualcosa di
simbolico...A me interessa l’involucro umano, il vuoto al di là della maschera. Che cosa si nasconde dietro
le cose, dietro gli uomini...". E sono, in particolare, subitanee intuizioni che sottolineano la sua complessa
stagione artistica dal "realismo organico" alle storie di donne con "Regina pulisce", "Sarta" e "Natura
morta", sino al pastello "New Orleans".
Impressioni, accensioni cromatiche e paesaggi, resi con un robusto impasto della materia, concorrono a
fissare un luogo o un pensiero che è ironia, angoscia e misura del vivere e dell’esistere. Baumgartner
riafferma, tra la memoria del tempo, Crocifissioni e l’"Evangelario", il fascino dei soggiorni parigini, con le
serate "Party", delle montagne valdostane e le strade e piazze torinesi, mediante una personale, esclusiva
e meditata narrazione.
Angelo Mistrangelo
 

Fritz Baumgartner. Il Party come Belle Époque ritrovata
Se lo sguardo si compiace a scrutare, come in una quadreria sovrappopolata, l’intero
corpus delle opere di Fritz Baumgartner (1929-2006), balena un senso di spaesamento: si
trovano al proprio cospetto dipinti di ogni guisa, con gradi di matericità agli antipodi e scale
cromatiche a strapiombo su correnti e manifesti artistici di natura contraria. Si attraversano
in un solo lampo gli albori del sentimento dell’arte nutrito durante l’adolescenza austriaca;
le prime prove all’Accademia delle Belle Arti a Monaco, città che lo ha naturalizzato
bavarese a tutti gli effetti; le lezioni impartitegli da Kokoschka e dai più tenaci epigoni
dell’espressionismo tedesco; gli anni ’50, d’afflato parigino grazie a una borsa di studio
triennale vinta nella capitale francese; il periodo di ripensamento dell’estetica tradizionale
e di lento allontanamento, accogliendo lapsus fauvisti e futuristi, dall’espressionismo, fino a
giungere alla spoliazione del segno grafico minimale e concettuale, dai colori e dalle forme
netti e decisi – nella misura che la contemporaneità desidera.
Potrebbero annullarsi, come cariche opposte di ugual forza, le potenzialità
magnetiche di un artista che ha pagato di buon grado il dazio della curiosità sperimentale,
aderendo a diverse stagioni pittoriche – vissute tutte con destino fortunato. Ecco perché ci
si soffermerà, alla stregua di un capitolo dentro un manuale mastodontico, su ciò che oggi
rende l’intensa produzione artistica di Baumgartner non solo materia di studio scientifico e
consultazione accademica, ma anche rinnovata e originale scoperta. Si tratta di dipinti
inediti, realizzati su tela o su supporti di occorrenza (ad esempio su carta racimolata da
pagine di giornale ancora da stampare) durante il soggiorno a Parigi dal 1956 al 1958, che
rievocano e rielaborano con linguaggio velatamente espressionista le atmosfere – già
oltremodo fané – della Belle Époque.
Dalla pittura pregressa, l’artista mitteleuropeo ricava una natura reattiva, pronta a
mettersi in discussione e a mutare nel tempo, così come mutano le circostanze che portano
l’uomo a definirsi nella Storia. La Belle Époque fu infatti un lungo periodo di pace, come
non se ne erano mai visti in Europa dai tempi dell’Impero romano: tra il 1870 e il 1914, dopo
millequattrocento anni e oltre, il continente entrò in una fase nuova, nella quale le potenze
non avrebbero fatto ricorso alle armi per almeno quarant’anni. I conflitti furono tutti
confinati al di fuori dello spazio europeo, nelle colonie; e in questo clima di tensione,
allontanata dalla collettività benpensante, autocelebratasi “civile”, la società e la cultura si
evolvono con fede cieca nel progresso scientifico – il progresso, secondo Auguste Comte,
segna “la preponderanza crescente delle tendenze più nobili della nostra natura”. La realtà
di Baumgartner era stata spietatamente differente: l’umanità, dissestata dopo le guerre
mondiali e travagliata da una crisi che colpiva ogni ambito della vita, si stava appena
affacciando a una riorganizzazione spirituale delle società moderne. Esperire la quotidianità
parigina sovrapponendo alle proprie lenti il filtro di quel periodo remoto e ormai opaco è
da una parte evidente autodifesa – l’espressionismo tedesco è difatti sempre stato apertoa
dialogare o a interiorizzare altri modi di dipingere, smussando il repertorio per attenuare
le manifestazioni di atrocità, fisiche e psicologiche – e dall’altra canzonatoria proiezione di
un milieu mondano, festaiolo, ammaliante e decadente, residuo fisso nel contesto
cosmopolita della città.
Eppure, nella Belle Époque recuperata di questi dipinti ritrovati, la presa di distanza
dalla effimera frivolezza non è incrudelita dai modi dell’espressionismo (che anzi è messo al
servizio di circostanze che non ha mai rintracciato): nell’ironia vi è una forza ottimistica, un
senso di socialità, di abbraccio di diverse brulicanti personalità. Perfino negli oggetti d’uso
comune si racconta di una presenza smagliante, di una collettività che riempie le cose. È un
apparire mai vuoto, quello dei soggetti di Baumgartner; l’interiorità si sublima nell’estetica
di oggetti comuni e di occasioni a tutti familiari. E se per i paesaggi sembra apparentemente
più semplice riscontrare nella matericità il profondo sondaggio degli stati d’animo,
attualizzando la Sehnsucht tipica dell’indole tedesca, per le scene di aggregazione vivace e
leggera come l’emblematica Party le figure dalle pose quasi caricaturali – una patologia
ridotta al riso – sono riempite da colori simbolici che dimostrano una consapevolezza
psicologica figlia più del Kokoschka drammaturgo che del pittore – l’azzurro e il bianco sono
la negazione dell’assillo dell’esistenza; il giallo e il rosso simboleggiano l’inconscio e la
vitalità.
Quando lo spazio scenico è astratto, il riferimento temporale diviene rarefatto e
penetra nella tela una forza estatico-visionaria senza tempo; anche nelle opere come gli
Amanti il corpo a corpo fisico e verbale delle figure, con dialoghi dissoluti e oscuri e con
spasmi convulsi in fasci di vesti, muscoli e nervi di matrice espressionista si risolve in una
parabola universale dell’amore. Nessun nervoso senso di oppressione, nessun avversario
inconciliabile: il conflitto “fatale” tra i sessi è districato e i corpi sono rimescolati in un unico
lembo cucito di svariate tonalità di rosa – il colore della vita che nasce, dell’alcova dell’eros
e della tenerezza.
Le poliedriche esperienze di Baumgartner sono presentate in questa mostra
cercando di raddensare la loro carica affabile in un grumo di atmosfera: pensandole in un
salotto, nella trasognata intimità della lettura o di una sigaretta, come se la festa fosse già
avvenuta in passato – forse non si è voluto partecipare, lasciando i musicisti e i bevitori nella
stanza accanto; o forse il party è soltanto una fantasticheria da rotocalco. Un compendio un
po’ polveroso, che nella sua intenzione autentica di studio storico-artistico monografico
rifugge dalla mondanità vanesia per ricercare una socialità autentica, empatica, praticabile.
Federica Maria Giallombardo